Con questa intervista incontriamo lo scrittore Filippo Semplici, ponendo alcune domande interessanti che ci aiutano a conoscere meglio la sua proposta editoriale.
Mi chiamo Filippo Semplici, sono toscano, e ho quell’età in cui cominciano i primi capelli bianchi.
Se dovessi raccontarmi, direi che sono impiegato in una multinazionale, che ogni anno compro scarpe da Running nuove di zecca, che in gioventù ho piratato un numero di film horror da far impallidire Anonymous, e lo farei ancora se non temessi le ripercussioni della moglie; direi che in quinta elementare ho conosciuto Dylan Dog, e King in prima media, che da adolescente ho suonato “Back in black” con la vecchia Washburn, e che il distorsore era così malandato che Angus Young mi avrebbe maledetto fino alla fine dei giorni.
Ma la verità più semplice è che sono un sognatore.
Un sognatore che vuole credere, come diceva il buon vecchio Fox Mulder di X Files.
“I want to believe”.
Perché in fondo io non faccio che credere.
Credere che in fondo al Loch Ness abiti un mostro marino, che sulla cima dell’Himalaya si aggiri lo Yeti, che gli Ufo ci abbiano fatto visita. Credere, perché no, che Babbo Natale ogni venticinque dicembre scenda dal camino con un sacco pieno di regali.
Credere, sì, che un giorno la mia passione per la scrittura possa trasformarsi nel mio vero lavoro.
“I misteri di Borgoladro” (Newton Compton) è senza dubbio il libro di maggior successo; mi ha permesso di uscire dalla sfera degli esordienti, e presentarmi al grande pubblico. L’accoglienza è andata oltre le mie aspettative, al punto che è già pronto un sequel in attesa di pubblicazione.
Cosa mi ha spinto a scriverlo? Un pensiero, anzi no: una presa di coscienza.
Mi sono svegliato una mattina, e ho capito che la seconda cosa che ho fatto non appena alzato, è stato controllare il cellulare (la prima andare in bagno). Non avevo ancora guardato fuori dalla finestra, che già stringevo lo smartphone e mi destreggiavo tra social, notifiche, email.
Quel giorno ho capito quanto internet influenzi la nostra vita; postiamo foto, condividiamo pensieri, musica, stati d’animo, ma sappiamo veramente con chi lo stiamo facendo?
Sappiamo davvero chi ci sia dall’altra parte della rete?
Spinto da questa domanda, ho iniziato a elaborare una storia, che si è arricchita di particolari macabri e purtroppo reali, raccolti durante le mie scorribande notturne nei meandri del web, in cerca di informazioni.
Così ha iniziato a venire alla luce “I misteri di Borgoladro”.
Non credo nel blocco dello scrittore.
Credo ci siano periodi buoni e meno buoni per scrivere, dettati dal mondo che ci circonda, dallo stato d’animo, dalla nostra emotività.
Talvolta può mancare l’idea per una storia, ma non si tratta di blocco, bensì di un momento di ricerca interiore che deve solo trovare la strada giusta per affermare ciò che abbiamo dentro, e farlo venire alla luce; magari basta guardare fuori dalla finestra per individuare l’idea mancante, magari quella geniale che sa fare la differenza tra una buona storia e una pessima.
Come dico sempre io: “Le storie che scriviamo, o che dobbiamo ancora scrivere, sono tutte intorno a noi”.
È stato una vera e propria sorpresa, soprattutto dopo l’uscita de “I misteri di Borgoladro”.
Non ero abituato a gente che mi scriveva ovunque per parlare del libro, e questa cosa mi ha davvero entusiasmato.
Potersi confrontare con il pubblico, e farlo in modo così naturale e diretto, è ciò che nutre la mente di uno scrittore, perché senza i lettori noi autori non siamo nessuno.
Un confronto limpido, anche se critico, è e deve essere alla base del rapporto con i propri lettori.
Ho apprezzato chi si è complimentato per il romanzo, come chi ha mosso critiche, per il semplice fatto che stavo imparando qualcosa di nuovo su me stesso, e su come avrei potuto scrivere al meglio la prossima storia.
È successo quasi per caso, a vent’anni.
Avevo buttato giù un breve racconto horror intitolato “Il cucciolo”, ispirato al gatto di casa; più per gioco che per prodezza, l’avevo iscritto a un concorso indetto da Fanucci, senza ovviamente aspettarmi nulla di buono.
Con mia grande sorpresa invece arrivò la telefonata in cui venivo proclamato vincitore, selezionato nientemeno che dal grande e compianto Valerio Evangelisti.
Così, per la prima volta nella vita, una storia tutta mia prendeva vita sulle pagine di un editore vero e proprio, e anche famoso per giunta.
Da quel momento ho capito che ciò che scrivevo poteva piacere al pubblico, e ho deciso di proseguire in questa avventura.
Mai terminare un libro senza avere in mente l’inizio di quello successivo.
Nel mio caso, il sequel di Borgoladro è già pronto e in attesa di essere pubblicato; purtroppo lo scoppio della guerra e il lievitare dei prezzi della carta, hanno bloccato molte realtà editoriali, così come il mio romanzo, che avrebbe dovuto vedere la luce l’estate scorsa, sempre per Newton Compton.
Nel frattempo ho terminato un nuovo thriller, che è già in mano alla mia agente, e sto iniziando a lavorare su un terzo, basato su un’idea molto sinistra e purtroppo attuale che, devo ammettere, mi intriga davvero molto.
Spero che potrà conquistare anche tutti i miei lettori, come ha conquistato me.
Scrivi la tua recensione